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Gli Statuti

Gli Statuti


"Statuta et Conventiones Panchalery"
(gli antichi Statuti di Pancalieri)

Quando gli statuti vennero concessi alla comunità di Pancalieri, da parecchio tempo altri feudi, città, paesi circostanti ne godevano ed usufruivano. Torino, Moncalieri, Pinerolo li possedevano da lustri o addirittura da secoli. A Luserna, per esempio, erano stati concessi nel 1276, a Vigone, Castagnole Piemonte e Scalenghe nel 1360, a Villafranca Piemonte nel 1384.
Pancalieri ebbe le sue conventiones il 30 agosto 1433, pubblicate sotto la signoria di Ludovico di Racconigi, figlio naturale dell'ultimo principe d'Acaia. Esse si compongono di sette collazioni: De iuramento officialium

(23 artt.), De hiis que pertinent ad communitatem et ordinamenta ipsorum (21 artt.), De causis civilibus (32 artt.), De maleficiis (49 artt.), De regardariis (36 artt.), De accusis singularum personarum et de campariis (52 artt.), De quibusdam extra ordinariis (22 artt.) cui seguono 22 capitoli aggiunti tra il 1459 e il

1472. E’ utile tuttavia tentare una divisione cronologica:

II gruppo: rubrica 233, concessa il 24 luglio 1452
III gruppo: rubriche 234 e 235 del 29 maggio 1459
IV gruppo: rubrica 236, di data sconosciuta
V gruppo: dalla rubrica 237 alla 248, del 13 giugno 1468
VI gruppo: dalla rubrica 249 alla 257, di data sconosciuta
VII gruppo: rubriche 258 e 259, del 24 dicembre 1472

L'orizzonte preso in esame dalle franchigie è limitato: i loro confini sono il borgo, le città, le mura. Gli statuti non sono dunque che una raccolta di leggi, consuetudini e tradizioni, di concessioni ottenute con le buone o le cattive maniere, messe per iscritto e sono l'espressione, in un periodo di caos legislativo e sociale, del diritto locale, gradualmente costruito dalla volontà popolare, sovente ispirato all'antico diritto romano, che si afferma sull'incerta e frammentaria legislazione sabauda.
"Ha inizio, infatti, dal 1200, un periodo storico travagliato, attraverso il quale maturano e si affermano le prime libertà comunali…Queste libertà, strappate con la forza o concesse più o meno volontariamente dai vari signori locali, vengono radunate o in documenti scritti o tramandate a viva voce, affermandosi e consolidandosi nelle consuetudini.
Non si tratta di libertà sul tipo di quella concettuale ed oggettiva, che si manifesterà con la Rivoluzione Francese, alla luce della Ragione; pur tuttavia esse significavano un gran passo avanti sulla via dell'affrancamento popolare" (Storia di Pinerolo di A. Pittavino, vol. I).
Tutte queste caratteristiche appaiono chiaramente dal proemio, dove si legge che "codesti capitoli sono e furono composti sulla base di antiche raccolte di norme di detto luogo e relative aggiunte, incorporate ed inserite a queste"; ma da dove risulta contemporaneamente che un ruolo fondamentale veniva esercitato dalla autorità costituita, che pose tra l'altro alla concessione la clausola che tali statuti "non tornino contro lo stato e l'onore e la convenienza dell'ineffabile …Lodovico": un compromesso, quindi, tra autorità e popolo, tra Acaia prima e Savoia poi con la comunità di Pancalieri, nel rispetto reciprocamente difeso delle tradizioni acquisite e del potere costituito.
Compromesso che, tra l'altro, ci rivela essere Pancalieri non un comune vero e proprio, cioè una comunità con governo autonomo sulla base di predominanti volontà popolari, ma una comunità di persone che si fa sentire e si difende tramite un'istituzione, un consiglio generale, il cui potere operativo, sul piano giuridico-amministrativo, è però sottomesso alla tutela - limite del signore del luogo, rappresentato dal castellano od altra autorità di sua nomina. E ciò anche se in alcuni punti del testo latino degli statuti si parla di "comunis".
"D'altronde, tra diritto comune, diritto romano e canonico, consuetudini si stavano inserendo, con forza ed efficacia sempre maggiori, le leggi dei principi di casa Savoia. L'esercizio del potere normativo sabaudo era ben accetto e sollecitato dalle comunità dipendenti, finché conservasse carattere particolare e frammentario (concessioni, franchigie, privilegi, statuti speciali, consuetudini); incontrava invece le maggiori resistenze quando si rivolgesse a innovazioni legislative, dirette ad un livellamento della varietà dei diritti locali, in contrasto con le diverse situazioni di autonomia e privilegio"( Storia del Piemonte, Casanova editore).
In Chambéry, nel giugno del 1430, stufo di una giurisprudenza costituita da un confuso coacervo di norme e principi tratti dalle più svariate fonti (feudali, consuetudinarie, diritto romano, che ricominciava a diffondersi dalle scuole degli umanisti ai tribunali), Amedeo VIII (1390-1440) fece pubblicare, assistito da una commissione di esperti in legge, magistrati e prelati, un corpus di leggi e regolamenti, sotto il titolo di "Statuta Generalis Reformacionis". Si meritò così l'appellativo di "Salomone dell'età sua", in quanto tale "codice" costituì il fondamento di tutta la legislazione che resse gli stati di casa Savoia fino all'età moderna (i codici Vittorino del 1723 e 1729 e Carolino del 1770 attinsero ad essi molte disposizioni, conservandone talvolta persino le parole). Gli statuti locali continuarono ad avere vigore, ancorché solo in certe materie, tanto che gli stessi statuti di Pancalieri, nel 1715, facevano ancora testo, come dimostrano due annotazioni in margine alle rubriche 34 e 52.
In pratica, però, ci vollero secoli prima che le leggi ducali prendessero il sopravvento sui diritti locali. Ora, tenendo presente che nel 1418 morì Ludovico d'Acaia, quello di "venerabile memoria", e che Amedeo VIII incorporò nel ducato di Savoia il principato degli Acaia, di conseguenza anche il signore di Pancalieri, Osasio, Cavour e Racconigi, Ludovico il Bastardo, figlio naturale di Ludovico, passò alle dipendenze di Amedeo VIII e soggiacque alle sue leggi.
Gli statuti di Pancalieri, pertanto, si ispirarono anch'essi al modello degli Statuta Sabaudiae, anche perché, tra i loro estensori, figurano un certo dottore in legge Tibaldo Guerra e tutte le autorità costituite del luogo, le quali si presume conoscessero le leggi del loro signore. E d'altronde, l'esistenza di un modello generalizzato e precostituito si deduce, tra l'altro, dal contenuto di tali Capitula, da cui scompaiono quelle norme a contenuto prettamente "locale", che si ritrovano in quelli dei paesi vicini, quali Vigone e Villafranca (per esempio la regolamentazione delle bealere).
Contemporaneamente si comprende come vennero tenute presenti, anzi apertamente menzionate, le leggi e le consuetudini locali: ecco perché moltissime delle disposizioni, contenute nelle rubriche degli statuti di Pancalieri si ritrovano negli statuti, più antichi, di luoghi confinanti.
Una breve panoramica delle istituzioni regolamentate dalle franchigie vede in prima fila il consiglio generale (rubr. 24) convocato dal castellano, del quale facevano parte 16 uomini almeno venticinquenni e dal quale si eleggevano i sindaci, quindi il castellano stesso, (r. 1), forestiero, rappresentante dell’autorità feudale e capo della comunità, i campari o saltari (r. 162), polizia rurale, i massari, con competenza sui libri contabili e sulle vie pubbliche, il decano, ufficiale giudiziario(r. 45), il clavario (r. 2), che si occupava dell’erario e della pubblicazione delle sentenze, il notaio, gli ambasciatori (r. 31), estratti a sorte, gli estimatori (r. 14), i priori della confraternita (r. 217).
Il volume in pergamena degli statuti di Pancalieri consta di 6 fogli non numerati e 72 numerati. Scritto in grafia gotica abbreviata, di esso non esiste alcuna edizione critica, salvo la trascrizione latina fattane da T. Stranges (Il codice degli statuti di Pancalieri, tesi di laurea in Storia del diritto italiano, anno accademico 1974-75, presso l'Università di Torino, facoltà di Giurisprudenza).

a cura di Manassero Dr. Roberto