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Le famiglie nobili o titolate di Pancalieri


Descrizione

a cura del dr. Paolo Libra

Si sa che spesso molte delle ricerche genealogiche sono mosse unicamente dal desiderio di poter adornare la propria casa di uno stemma o dalla speranza di potersi fregiare di un titolo nobiliare. Chi facesse un simil discorso per le famiglie di Pancalieri non credo che rimarrebbe soddisfatto. A meno di voler considerare pancalieresi i Savoia-Racconigi, oppure i Lullin, o ancora i Turinetti di Priero, i quali, soprattutto questi ultimi, non dimoravano che alcuni mesi all'anno nel castello, i casati titolati si possono contare sulle dita di una mano.

Anzitutto compaiono i RAIMONDI, che avevano uno stemma d'azzurro, a tre fasce di rosso, cucite, al palo d'argento, carico di tre trifogli di verde, attraversanti; col capo d'azzurro, cucito, carico di un'aquila d'argento, adorno di un cimiero portante un avambraccio armato, tenente una spada. Ottennero nobiltà certamente prima del 1613, come risulta dal consegnamento fatto in quell'anno. Il Manno (MANNO A., Patriziato subalpino, volume dattiloscritto presso A. S. To) attribuisce questo blasone ai Raimondi di Mondovì. Secondo quest'ultimo lo stemma della famiglia pancalierese era invece di rosso con tre fasce di argento ed un palo di azzurro caricato di tre trifogli d'oro attraversante il tutto sotto un capo cucito di rosso con un'aquila spiegata d'argento coronata del medesimo e il loro cimiero un leone nascente d'oro linguato di rosso tenente con la zampa destra una spada nuda. Il Crollalanza (CROLLALANZA G.B, Dizionario storico- blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Pisa 1886), testimonia l'esistenza di un omonimo casato, originario di Como, dotato del medesimo stemma, portante al posto dei trifogli delle foglie di vite dorate. Costoro ottennero il titolo di conte di Mongiardino e di Lisio. Appartennero a quest'ultima stirpe Nicolò, consigliere e uditore del principe Tommaso di Savoia-Carignano, Carlo, che acquistò parte di Cavallerleone e Michele, tutti legati ai potenti cugini dei regnanti sabaudi. Il collegamento tra i Raimondi piemontesi è evidente sulla base del motto, uguale per tutti, formato dalle parole LOCO ET TEMPORE.
Quindi troviamo i RIBOTTI, che secondo il Manno, questa volta concorde con i consegnamenti del 1581 e del 1613, erano insigniti di uno stemma avente in campo d'argento una pianta sradicata di ribes e come si dice d'uva d'oltra mare con foglie verdi e frutti maturi. Ricordiamo che nell'Archivio Comunale di Pancalieri si conservano, inopportunamente mescolati ai primi volumi degli Ordinati Comunali, alcuni protocolli originali del notaio Antonio Ribotti (1561, 1578-79, 1581, 1583-97), all'interno del mazzo 6 e del mazzo 9 della categoria 1, classe 5. Appartenne a questa famiglia il Prefetto delle Missioni Filippo Ribotti.

Parimenti compaiono sul Manno come nobili i DI MORETTI (Di rosso, alla banda d'argento carica di tre teste di moro, di nero, fasciato di verde; col capo d' argento, carico di un grappolo di uva nera con due foglie, al naturale. Cimiero: Una testa di moro, come nel campo. Motto: CANDIDIOR INTERIUS). Personalmente non ho notizie di questa famiglia, ma credo sia identificabile con quella di un Capitano "Moretta" che ricorre spesso all'interno degli incartamenti del tribunale feudale di Pancalieri.

La famiglia MORRA (o DEMORRA), invece, si distinse lungo tutto il corso del Settecento, tanto da potersi considerare la vera feudataria del luogo, essendo i marchesi Turinetti troppo impegnanti nella politica e nell'alta amministrazione. I Morra, temutissimi da tutti e da tutti riveriti, furono protagonisti di alcune delle più grandi querelle del luogo, come la vicenda della rimozione della Missione dei Cappuccini (condita con la presunta incursione notturna, da parte del segretario, armato e minaccioso, all'interno del convento) e di tutte le lotte tra il castellano (dipendente dal feudatario e dal prefetto di Savigliano) e il segretario comunale (dipendente dall'intendente di Pinerolo). Giambattista Morra acquistò nel 1777 il feudo di Lavriano con titolo comitale. Il figlio Bernardino fu luogotenente generale e governatore di Nizza, il fratello Nicolò venne investito nel 1793 di una porzione di Carpenea, sempre con titolo comitale (Arma: Bandato di rosso e d'azzurro orlato d'argento; col capo d'argento carico di una testa di donna mora, al naturale. Cimiero: La donna mora vestita d'azzurro, cinta di rosso. Motto: CONSTANS ET FIDELIS). Ottennero lo stemma almeno dal 1687.

Particolarmente evidente, sempre nel secolo XVIII fu l'ascesa, della famiglia CALIGARIS, nelle persone di Gabriel e Pietro Antonio. Il primo, dapprima oste e sublocatore della gabella della grappa e del tabacco, frequente vincitore degli appalti per l'esazione della taglia e spesso acquirente in blocco di beni comuni, giunse a possedere ben 141.95.5 giornate di terreno come si evince dal sommarione allegato al catasto del 1764 (A.S.To., Catasti, all. D n. 109 ). Agli stessi anni risale anche il primo filatoio di Pancalieri, impiantato dal figlio Pietro Antonio, già agente del marchese, quindi negoziante di seta. Dei figli di quest'ultimo due studiarono belle lettere a Carignano, uno teologia all'Università di Torino e uno divenne ufficiale delle milizie.

Nel 1791 erano elencate in Pancalieri come case ragguardevoli quelle del conte Bernardino Nicolao Morra di Carpenea, dell’avvocato Carlo Bonaudo, del dottor Domenico Bonaudo e di suo fratello Gian Battista, del notaio Gerolamo Ruscasio, dell’avvocato Giulio Oddono, del signor Pietro Antonio Caligaris e dei signori Rivolta, Debernardis, Gamba, Ghigo, Agnelli, Andreis, Cappello, Ferrero e Riccardi. Per completezza vanno aggiunte quelle dei Clara (lo stemma e il motto LUCIS CLARIOR sono ancora visibili sul portone) e quelle del conte di Benevello Challant.

Ulteriori informazioni sulla nobiltà piemontese possono essere reperite su www.vivant.it e sul Blasonario Subalpino on-line, da cui ho tratto le illustrazioni dei due blasoni sopra riprodotti.

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